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holy quran 1528446 640Dell'Imam Ataul Wasih Tariq

Non considerare morti quelli che sono stati uccisi sul sentiero di Allah. Sono vivi invece e ben provvisti dal loro Signore.

(Il Sacro Corano: 3, 170).

Introduzione

L’Ahmadiyya Muslim Jama’at è stata fondata nel 1889 da Mirza Ghulam Ahmad (La pace sia su di lui) a Qadian, India (a quel tempo colonia inglese). Mirza Ghulam Ahmad (La pace sia su di lui) dichiarò di essere il riformatore promesso preannunciato dal Profeta Muhammad (La pace e le benedizioni di Allah siano su di lui) e di venire in adempimento della profezia del Profeta Muhammad (La pace e le benedizioni di Allah siano su di lui) circa il secondo avvento di Gesù. Mentre i musulmani, in generale, credono che Gesù discenderà dal cielo nel suo corpo fisico, Mirza Ghulam Ahmad (La pace sia su di lui) spiegò che tutti i profeti sono mandati, sulla terra, dal cielo, ma questo non significa che discendano nel loro corpo fisico. Nelle scritture sacre ci si riferisce sempre ad un avvento spirituale, nel momento in cui i profeti sono “mandati” da Dio. Lui chiese gli si portasse un esempio di un profeta venuto “fisicamente” dal Paradiso, sebbene non manchino profezie come quella relativa a Giovanni Battista che, con la sua venuta, adempì alla profezia della discesa di Elia (Matteo 11:14, Matteo 17:10-13,Marco 9:11-13,Luca 1:17, Giovanni 1:21). Nel momento in cui Mirza Ghulam Ahmad (La pace sia su di lui) dichiarò di essere il Messia, lui ed i suoi seguaci dovettero affrontare le stesse tribolazioni cui andò incontro Gesù (La pace sia su di lui).

L’opposizione

La storia delle ostilità iniziò presto, quando Mirza Ghulam Ahmad (La pace sia su di lui) condannò con grande fermezza la violenza in nome dell’Islam, spiegando che, ai tempi del Profeta, i musulmani venivano ferocemente perseguitati e che, solamente a seguito di tanta sofferenza, venne accordato loro il permesso di difendersi.


Scrive Mirza Ghulam Ahmad:
[…] Costoro [I nemici dell’Islam] commettevano atti di estrema crudeltà, assassinando brutalmente molti musulmani. Questa situazione durò circa tredici anni. Molti devoti di Dio […] venivano spietatamente fatti a pezzi da questi barbari. Orfani e donne venivano, a loro volta, macellati nelle strade. Malgrado tutto, Dio comandò non ci fosse rappresaglia contro i malvagi. I giusti, i “prescelti” si attennero scrupolosamente alle istruzioni ricevute. Mentre le strade si coloravano di rosso per il sangue versato, loro non proferivano parola. Venivano macellati come animali ma non protestavano. Il Santo Profeta di Dio [Muhammad] (su cui il cielo e la terra riversino le proprie benedizioni) veniva preso a sassate in diverse circostanze ma tollerava ogni genere di maltrattamento con cuore aperto ed amore.
Quest’attitudine di perseveranza e umiltà indusse i nemici dell’Islam ad intensificare le loro persecuzioni. Braccavano la nuova comunità dei seguaci del Profeta come un cacciatore la sua preda.
Dio dunque, che non voleva certo che i livelli di crudeltà ed oppressione superassero limiti pur “generosi” di tollerabilità, si mosse a difesa dei Suoi servi oppressi indirizzando la Sua ira verso i loro persecutori. Parlò ai sofferenti attraverso il Sacro Corano: Sto vedendo tutto quello che vi sta accadendo e, d’ora in poi, vi do il permesso di reagire. Sono Dio Onnipotente e non permetterò ai vostri oppressori di scappare senza essere puniti. Questo è il comandamento che sarebbe poi stato conosciuto come jihad.
Le parole originali che lo prescrivo, ancora preservate nel Sacro Corano, sono le seguenti:

A coloro che sono stati aggrediti è data l'autorizzazione [di difendersi], perché
certamente sono stati oppressi e, in verità, Allah ha la potenza di soccorrerli.
(Il Sacro Corano: 22, 40)

Questo comandamento va circoscritto a quel preciso periodo storico. Non era definitivo. Si applicava a quei tempi in cui entrare nell’Islam significava essere sgozzati come pecore ed agnelli.
Dopo il tempo del Santo Profeta (Possano la pace e le benedizioni di Allah essere su di lui) e dei suoi successori, le persone fecero, purtroppo, gravi errori nella comprensione della filosofia del jihad, espressa chiaramente nel verso testé citato.
(The British Government and Jihad (1900), Ahmad, Mirza Ghulam, p. 5-6)

Parlando di studiosi e predicatori musulmani Mirza Ghulam Ahmad (La pace sia su di lui) afferma:

Quando questi predicatori incontrano gli attuali governanti, si inchinano quasi fino a prostrarsi ma, quando sono tra i loro simili, continuano a ripetere che questo paese [la Gran Bretagna] è “dar-ul-harb” [zona di guerra]. Considerano il jihad come obbligatorio nei loro cuori e pochi tra loro la pensano diversamente. Aderiscono così fortemente alla loro dottrina del jihad — che è completamente fuorviante, contraddicendo del tutto gli insegnamenti del Sacro Corano e degli Hadith — che etichettano come “dajjal ” [Anticristo], meritevole di morte, chi si permette di avere obiezioni al riguardo. Una fatwa [editto] di questo genere è stata pronunciata contro di me un po’ di tempo fa. Alcuni dei predicatori di questo paese mi hanno etichettato come dajjal e kafir [infedele] e — senza temere le leggi del Governo Britannico —hanno pubblicato una fatwa dichiarando che sarei stato ucciso e che sarebbe stato un atto benedetto saccheggiare i miei averi o rapire le donne della mia casa. Che genere di ragionamento è questo? Solo perché sono il Messia Promesso e predico contro il loro concetto di jihad, rigettando le nozioni di un Messia assetato di sangue e di un Mahdi il cui avvento, sperano, consenta loro di darsi alla violenza e al saccheggio.
(The British Government and Jihad (1900), Ahmad, Mirza Ghulam, p. 8)

Nel corso della sua vita Mirza Ghulam Ahmad (La pace sia su di lui) ricevette regolarmente minacce di morte, false accuse, boicottaggi ai danni suoi e della sua famiglia ma lui si è mantenuto sempre calmo e paziente. A chi gli chiedeva come facesse a mantenersi costantemente tranquillo rispondeva: “Come posso essere preoccupato? Nel momento in cui vado a letto e, già poggiando la testa sul cuscino, Allah mi conforta dicendo: Sono con te, Sono con te.”.

La storia dei primi due martiri


Fu il deciso rifiuto del Jihad violento e delle “guerre sante” a determinare il primo martirio tra i suoi seguaci. Nel suo libro “The narrative of two martyrdoms”, scritto 1903, Mirza Ghulam Ahmad (La pace sia su di lui) scrive di Mian Abdul Rahman:
Essendo stato in mia compagnia ed avendo sentito i miei discorsi ed insegnamenti, la fede di Mian Abdul Rahman si sviluppò grandemente e, quando ritornò a Kabul, aveva perfettamente colto i fondamenti dei miei insegnamenti. Fu in questo periodo che pubblicai alcuni libri di confutazione della nozione comune di JIHAD come guerra santa. Lui era del tutto al corrente del fatto che il nostro Movimento si opponeva al concetto di guerra santa come era comunemente concepito. Accadde così che, dopo essersi congedato da me, raggiunse Peshawar dove, per caso, incontrò KhwajaKamaluddin, […] che è anche un mio seguace. KhwajaKamaluddin aveva pubblicato allora un pamphlet di condanna delle guerre sante. Mian Abdul Rahman ne fu talmente colpito che parlò apertamente di quanto vi era scritto quando raggiunse Kabul. Sostenne con determinanzione che non era permesso condurre una Guerra santa contro gli inglesi, nel momento in cui garantivano pace e protezione a milioni di musulmani che vivevano nei loro territori in perfetta pace ed armonia con altri. La cosa giunse alle orecchie dell’Emiro Abdul Rahman [Emiro: Capo di Stato dell’ Afghanistan] attraverso alcuni punjabi maligni che frequentavano la sua corte. Gli dissero che Maulvi Abdul Rahman era discepolo di un punjabi che sosteneva di essere il Messia Promesso i cui insegnamenti affermavano non solo che non era consentito intraprendere una guerra santa contro gli inglesi ma che nei tempi correnti una guerra santa non aveva comunque ragion d’essere. A questo punto l’Emiro, furioso, comandò l’arresto del pover uomo per poterlo interrogare a fondo. Venne dunque provato che l’uomo era, senza alcun dubbio, un discepolo del Messia Promesso che si opponeva risolutamente all’idea di guerra santa. La povera vittima venne dunque strangolata mentre era in sua custodia. È stato riportato che molti segni dal Paradiso ebbero a manifestarsi in occasione del suo martirio.
The narrative of two martyrdoms (1903), capitolo di “The Martyrdom of Abdul Rahman” disponibile online)

Mian Abdul Rahman fu discepolo del successivo martire, Maulvi Abdul Latif, Principe di Khost nel territorio di Kabul, la cui storia di tragico martirio inizia con il suo ritorno, da Qadian, in Afghanistan. Prima di rientrare nel territorio afghano chiese il permesso dell’Emiro, informandolo di aver promesso fedeltà a Mirza Ghulam Ahmad, accettandolo come il Messia Promesso. L’Emiro fece una mossa astuta per attrarlo nel suo territorio. Gli spedì una lettera gentile e di incoraggiamento, chiedendogli di raggiungerlo senza riserva alcuna. Ricevendo la lettera, Abdul Latif procedette nella direzione di Kabul. Venne immediatamente imprigionato ed incatenato all’altezza del collo e della vita. Gli vennero anche incatenati le mani ed i piedi. Venne tenuto in questa miserevole condizione per circa quattro mesi durante i quali gli venne costantemente promessa la libertà se avesse ritrattato, affermando che colui che risiedeva a Qadian non era il vero Messia Promesso. Lui non ebbe cedimenti, rispondendo ogni volta: “Per grazia di Allah, sono un uomo in grado di discernere tra giusto e sbagliato, tra vero e falso. Ho trovato la verità dopo un’attenta ricerca e credo che lui sia davvero il Messia Promesso”. Aggiunse poi: “sono cosciente che la mia fede mi costerà la vita e comprometterà la sicurezza di mia moglie e dei miei figli ma conferisco più importanza alla mia fede che alla mia vita e ad ogni relazione mondana”.
Spiegando le ragioni del crudele trattamento del Principe Abdul Latif, Mirza Ghulam Ahmad (La pace sia su di lui) scrive:
C’è un’altra questione che va menzionata qui e che è la causa reale di questa tragedia. Da quando Mian Abdul Rahman, il martire, è stato ucciso, l’Emiro e gli studiosi sapevano che il Messia Promesso di Qadian era decisamente contrario alla nozione corrente del Jihad come guerra santa e che di questo non aveva certo fatto mistero nei suoi scritti. Incidentalmente il padre di detto Emiro aveva scritto e pubblicato un libretto con cui si incoraggiava la diffusione della fede per mezzo della spada; una nozione diametralmente opposta a quanto andavo affermando io. Alcuni corruttori punjabi ― che si autodefinivano Ahl-i-Hadeeth e Unitarians ― avevano avuto accesso alla corte dell’Emiro Abdul Rahman, il padre del presente Emiro, ed avevano malinterpretato la mia visione su detto argomento. Questa è stata probabilmente la causa reale dell’assassinio di Mian Abdul Rahman, il martire che l’Emiro riteneva appartenesse al gruppo di coloro che consideravano proibita la Jihad della spada. La ruota del destino si mossero in modo tale che Maulvi Abdul Latif inavvertitamente discusse, mentre era in prigione, la nozione di Jihad proclamando fosse inammissibile nei tempi correnti, dell’età della ragione. L’uso della forza, di questi tempi, per la diffusione della fede non porterebbe frutti. L’ultimo martire fu molto veloce nel rivelare questa verità ed in questo modo non si preoccupò per la sua vita.
(The narrative of two martyrdoms (1903), capitolo di “The Martyrdom of Abdul Rahman” disponibile online)

Dunque andò presto incontro al suo tragico martirio. Dopo che passò un verdetto di eruditi musulmani, l’Emiro chiamò il Principe e disse: “Il verdetto di apostasia si è abbattuto su di te. Ora sta a te decidere se pentirti o affrontare la pena comminata”. Lui rispose in maniera inequivocabile: “non posso ritrattare la verità; debbo accettare una falsità per salvarmi la vita? Non lo faro mai!”. L’Emiro provò a persuaderlo con la personale promessa di concessione della libertà e di altri privilegi. Il Principe, tuttavia, mantenne salda la sua posizione, dicendo: “non aspettarti mai che io receda innanzi alla verità”.
Quando il santo venerabile respinse ogni tentazione, il re era molto dispiaciuto e scrisse in un lungo documento che il principe meritava la punizione della lapidazione a morte.
Questo documento venne appeso al collo del principe. Il re ordinò anche che gli venisse fatto un buco nel naso attraverso cui dovesse passare un laccio con cui il condannato sarebbe stato trascinato fino al luogo dell’esecuzione. L’ordine venne eseguito alla lettera e il condannato venne trascinato fino al luogo dell’esecuzione tra le grida derisorie della folla. L’Emiro stesso, accompagnato dai suoi cortigiani, muftis and studiosi, assistette alla scena fino a raggiungere, lui stesso, il luogo dell’esecuzione. Migliaia di persone vollero, a loro volta, assistere al macabro spettacolo.
Il condannato venne messo in un buco del terreno fino alla vita. L’Emiro, a questo punto, gli disse: “anche ora se denunci la persona di Qadian che afferma di essere il Messia Promesso, io ti salverò. È la tua ultima possibilità. Abbi pietà di te stesso e della tua famiglia”. Il principe rispose: “Dio mi impedisce di negare il vero. Questa vita vale poco e nessuno dei miei amici e parenti vale di più. Non posso rinunciare alla mia fede per amor loro. Morirò per la mia fede”. Ascoltando questo, i studiosi ed i giuristi urlarono con una sola voce che era un infedele e doveva essere immediatamente lapidato a morte.
Il Capo Giudice, allora, scese da cavallo e scagliò la prima pietra alla vittima inerme, causandogli un’orribile ferita alla testa. Il re scagliò poi la sua pietra e la folla fece il resto. Nel giro di pochi minuti, il santo inerme era coperto da un cumulo di pietre.
Ci è stato riportato che quest’orribile tragedia si è svolta il 14 di luglio 1903.
Mirza Ghulam Ahmad (La pace sia su di lui) lo saluta in un’ode:
O Abdul Latif possano migliaia di benedizione riversarsi su di te, perché tu, nel corso della mia vita, hai manifestato una fedeltà senza pari nei miei riguardi e non so come i miei seguaci si comporteranno quando non sarò più tra di loro.
Questo uomo coraggioso, amato da Dio creatore, ha dato una gran prova di coraggio.
Ha sacrificato la sua vita per amore del vero Dio, del tutto indifferente alle lusinghe del mondo effimero.
Ha sacrificato la sua vita per amore dell’Amato.
Mirza Ghulam Ahmad (La pace sia su di lui) si rivolse con queste parole ai perpetratori del crudele atto:
O voi ignoranti! È in questo modo che l’Islam vi insegna a comportarvi nei riguardi di coloro che hanno una visione diversa della fede? E’ questa la punizione stabilita dal Corano e dall’Islam? Con che coraggio avete sparso questo sangue? Il governo britannico ― che, nella prospettiva di questo re e dei suoi bigotti studiosi, è il governo dei miscredenti ― sotto la cui giurisdizione vivono persone di vari credi, ha mai impiccato un musulmano o un hindu perché la loro fede era incompatibile con quella dei loro sacerdoti? Ahimé, che terribile tragedia è stata commessa sotto il cielo, nel momento in cui una persona del tutto innocente, malgrado fosse in buona fede e timorata di Dio e malgrado migliaia di persone l’abbiano trattata in maniera compassionevole, è stata crudelmente uccisa, per una pura questione dottrinaria.

Persecuzione in Pakistan

Purtroppo la tragica storia di persecuzione e martirio continua anche oggi. Nel 1974 il Secondo Emendamento della Costituzione di Pakistan dichiarava che gli ahmadi non andavano più considerati musulmani, mentre nel 1984 sotto il regime di Zia-ul-Haq, l’Ordinanza XX proibiva agli ahmadi di mostrare qualunque affiliazione all’Islam.
Segue il testo dell’Ordinanza:


“298B. Utilizzo inappropriato di epiteti, descrizioni, titoli, ecc., riservata ad alcuni luoghi o personaggi santi.
1. Ogni persona dei gruppi dei Qadiani o dei Lahori (che si autodefiniscono “ahmadi” o con qualunque altro nome) che a mezzo parola, scrittura o qualunque altra rappresentazione:
a. si riferisca a qualunque persona, che non sia un Califfo o un compagno del Santo Profeta Muhammad (La pace sia su di lui), come ‘Ameerul Mumineen’, ‘Khalifa-tul-Mumineen’, ‘Khalifa-tul-Muslimeen’, ‘Sahaabi’ o ‘Razi Allah Anho’
b. si riferisca a qualunque persona che non sia la moglie del Santo Profeta Muhammad (La pace sia su di lui) come ‘Ummul-Mumineen’
c. si riferisca a qualunque persona, che non sia un membro della famiglia (Ahle-bait) del Santo Profeta Muhammad (La pace sia u di lui), come ‘Ahle-bait’; o
d. che chiami il proprio luogo di culto Moschea;
verrà punita con l’imprigionamento fino a tre anni, andando anche soggetta al pagamento di una multa.
Ogni persona del gruppo dei Qadiani o dei Lahori (che si definiscono come ahmadi o in qualunque altro modo) che a mezzo parola, scrittura o qualunque altra rappresentazione, si riferisca al richiamo alla preghiera della propria fede come ‘Azan’ o reciti Azan alla maniera dei musulmani, verrà punita con l’imprigionamento fino a tre anni andando anche soggetta al pagamento di una multa.
2. 298C. Una persona del gruppo dei Qadiani ecc. che si autodefinisca musulmana o predichi o diffonda la sua fede. Ogni persona del gruppo dei Qadiani o dei Lahori (che si definiscono come ahmadi o in qualunque altro modo) che, direttamente o indirettamente, si atteggi come musulmana, o chiami o si rivolga alla sua fede come Islam, o predichi o divulghi la sua fede, o inviti altri ad abbracciarla, a mezzo parola, scrittura o qualunque altra rappresentazione, o in una qualsiasi maniera che oltraggi i sentimenti religiosi dei musulmani, verrà punita con l’imprigionamento fino a tre anni andando anche soggetta al pagamento di una multa”.

L’ordinanza testé presentata diffida dunque gli ahmadi dall’uso di ogni terminologia islamica, come "AssalamuAlaikum" (la pace sia con te) o dalla recitazione della Shahada (dichiarazione di fede nella unicità di Dio ed in Muhammad come suo profeta), o dal chiamare le loro moschee “moschee” o dal fare l’Adhan (richiamo alla preghiera), o dal compiere qualunque rito islamico, o dal citare il Corano o gli Hadith. La punizione per chiunque incorra in uno dei divieti testé riportati consiste in tre anni di prigione. Gli ahmadi che si identificano come musulmani e praticano l’Islam, si trovano criminalizzati, da questa ordinanza, nel loro quotidiano.


Un’altra chiara violazione dei diritti umani è la dichiarazione discriminatoria secondo la quale ogni musulmano pakistano deve richiedere un passaporto del proprio stato. Per ottenerlo ogni musulmano è tenuto a dichiarare di considerare Mirza Ghulam Ahmad (La pace sia su di lui) come – Dio ci perdoni – un impostore.

Centinaia di ahmadi sono stati uccisi, nel 1953, nel corso dei disordini di Lahore, nel 1974 nel corso di disordini anti-ahmadiyya e nel maggio 2010 durante alcuni attacchi a moschee ahmadi a Lahore. Nel 1974 si sono registrati il maggior numero di morti presso gli ahmadi.
Omicidi ed odio continuano ancora oggi, alcuni ahmadi sono stati uccisi per la loro fede, come una bambina e la sua mamma incinta sono state bruciate in Gujranwala, Pakistan in 2014.
Nel 2016 una serie di attentati mirati contro gli ahmadi ha avuto luogo durante il mese di Ramadhan nella città pakistana di Karachi. Stando ad un comunicato stampa del 21.06.2016 rilasciato da Sadr Anjuman Ahmadiyya Pakistan Rabwah, “[dal 1984] 31 ahmadi sono stati uccisi per la loro fede a Karachi e nessun responsabile è stato consegnato alla giustizia per questi crimini”.
Gli ahmadi in Pakistan soffrano quotidianamente le torture fisiche e mentali di essere discriminati ed essere considerati le persone cattive nelle scuole, nel lavoro o anche in famiglia. Per questo motivo è emigrato un bel numero degli ahmadi attraverso l’Americas e l’Europa, ma la malefica propaganda ha raggiunto anche l’Europa, quando il 24 marzo 2016 il negoziante ahmadi Asad Shah è stato ucciso a Glasgow, Scozia da un pakistano musulmano per il solo fatto di essere un ahmadi. Sono anche stati trovati in alcune moschee londinesi volantini che incitavano alla violenza contro gli ahmadi.